giovedì 15 febbraio 2018

Giuseppe Simoncelli

A quei tempi 35enne, scapolo, ci insegnò Italiano e Latino in tutto il triennio terza-quinta.
Cattolico liberale di formazione crociana interpretava l'insegnamento delle lettere in maniera molto tradizionale, poneva al centro dello studio solo ed unicamente la letteratura, rifuggiva da qualsiasi interpretazione dell'attualità e spingeva per una spersonalizzazione nella rielaborazione, preferendo una preparazione personale ricca di fonti della critica letteraria, Francesco De Sanctis in primis.
Sensibile al fascino femminile e tendenzialmente succube nel confronto con i caratteri forti, viveva il suo lavoro di insegnante cercando di evitare grane e grattacapi verso i quali manifestava un profondo fastidio in quanto gli turbavano il quieto vivere che gli permetteva di dedicarsi ai suoi interessi culturali, principalmente nello studio della medicina.
Commissario interno d'esame durante la nostra maturità (c'era ancora il vecchio metodo con un solo commissario interno e tutti gli altri esterni) lottò veementemente contro valutazioni difformi rispetto alla carriera scolastica dello studente, battendosi per un giudizio più consono con la sua conoscenza personale dell'alunno.
Quello che forse gli è mancato è stato il fuoco della passione in quel che spiegava, non aveva purtroppo le doti del "drammaturgo", pochi insegnati si ricordano di quel che scrisse il premio Nobel Elias Canetti "ogni cosa che ho imparato dalla viva voce dei miei insegnati ha conservato la fisionomia di colui che me l'ha spiegata e nel ricordo è rimasta legata alla sua immagine".
In chi l'ha seguito, nonostante un certo understatement della sua persona, ha lasciato delle buone tracce intellettuali unite ad un profondo affetto verso la cultura letteraria italiana e latina.